Intelligenza Artificiale e finanza: CastleRidge il piccolo fondo canadese che incuriosisce gli esperti

Intelligenza Artificiale e finanza: CastleRidge il piccolo fondo canadese che incuriosisce gli esperti

Herbert Simon, il Nobel che lanciò il concetto di “razionalità limitata”, ricordava che le decisioni umane non ottimizzano i risultati, esse si fermano quando trovano qualcosa di “abbastanza buono”. È tenendo ben saldo questo spettro teorico sullo sfondo che un piccolo fondo canadese, Castle Ridge Asset Management, ha deciso di togliere il timone agli istinti umani e consegnarlo ad un sistema che né si stanca, né si distrae o accontenta. Siamo a Toronto, in un ufficio per nulla distante dalle rive urbane della maestosa laguna che la Centre Island, l’isola dell’Aeroporto cinge nel Lago Ontario. Un palazzo altissimo fra tanti altri, bandiere colorate e sedi di grandi banche e agenzie. Tra questi il più umile fondo di investimento Castle Ridge, poco più di 190 milioni di dollari di capitale gestito a inizio 2025 e una manciata di dipendenti, numeri che lo collocano nei fondi detti “boutique” per le dimensioni che spesso fanno rima con “agilità”. E’ proprio il caso di Castle Ridge, che dopo la vittoria del prestigioso premio US Quant 2021, supera sé stesso costruendo un pezzo di industria nell’astratto mondo della finanza nordamericana: un supercomputer originale, battezzato Wallace, che alimenta una procedura definita a mezzo stampa multi-asset e multi-strategy lanciata nel giugno 2024. Questa macchina larga circa due metri e alta un metro e mezzo, è raffreddata a liquido e dicono abbia una capacità di elaborazione nell’ordine dei quadrilioni di operazioni al secondo: serve a generare e combinare centinaia di flussi di rendimento indipendenti, tarati sul profilo di rischio richiesto dagli investitori. Non è fantascienza: il concetto è che la potenza di calcolo riduca la forbice fra percezione globale dell’investimento e capacità previsionale, minimizzando il margine d’errore proprio laddove ci si ferma in genere al “buono abbastanza”. A differenza di altri operatori, Castle Ridge non usa l’IA come accessorio: è l’intero processo, dall’idea di investimento alle singole operazioni di compravendita di titoli, a essere “self-evolving”, con modelli che apprendono e si ricombinano.

Le etichette del caso sembrano troppo tecniche, ma l’idea di fondo è intuitiva: Castle Ridge parla da anni di “Geno-Synthetic Algorithms”, una famiglia di algoritmi che genera, combina e seleziona varianti di modello, si creano più “candidati”, si testano, sopravvivono quelli che spiegano meglio i dati senza renderli illusori, gli altri si scartano; è un modo disciplinato per non fissarsi sul “modello del mese” e far sì che il sistema si ricordi che i mercati cambiano continuamente pelle. Quando i fondatori parlano di “ranking inference”, stanno dicendo che la macchina non predice il futuro ma ordina opportunità per probabilità e qualità, creando una graduatoria che si aggiorna man mano che arrivano nuovi segnali: in pratica, chi compra prima è l’idea che oggi appare più robusta, non quella più affascinante al tavolo.

Il supercomputer che sembra un grande armadio con luci blu, qualche schermo e pieno di silicio, rende abbastanza originale questo fondo, perché è alternativo all’uso di software ospitati in soluzioni cloud. Perché questa scelta sembra così efficace oltre a disvelare il potenziale industriale di questa non-economia? Perché la spinta verso il multi-strategy nasce proprio quando la potenza di calcolo ha superato una soglia, quella oltre cui puoi far girare in parallelo centinaia di micro-idee e ribilanciarle prima che il mercato cambi direzione. Chiaramente non è una bacchetta magica. Anche l’IA sbaglia, come sbagliano i dati e sbagliano le ipotesi. È però un laboratorio interessante per un settore che spesso annuncia rivoluzioni tecnologiche laddove spesso si tratta semplicemente di marketing o di entusiasti abbagli: qui la notizia è che una ‘boutique’ mette a terra, pezzo per pezzo, un processo che usa un supercomputer per massimizzare non la previsione, ma la resilienza del portafoglio, puntando a più vie d’uscita che a un unico colpo vincente. E, a scanso di equivoci, la scelta non solo è pubblica e raccontata dagli stessi fondatori, ma sta alimentando e ampliando la discussione su IA e fondi, e forse anche un’invidiosa e silente attenzione. Quello stesso silenzio desideroso di “fare” che si percepisce in quest’angolo di St. Andrew: meno opinioni, più iterazioni, con l’ambizione, molto umana paradossalmente, di non fermarsi più al “buono abbastanza”.

Milano – Nadir Lehemdi

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