Guerra commerciale: nuovo accordo per Stati Uniti e Cina, come finirà? Intervista a Nino Galloni

Guerra commerciale: nuovo accordo per Stati Uniti e Cina, come finirà? Intervista a Nino Galloni

Il negoziato, tenutosi a Londra, sembra superare le difficoltà del vertice di Ginevra. Le tariffe sulle importazioni vengono rimodulate: Washington si ferma al 30%, Pechino al 10%. Trump esulta sui social, ma il 55% di cui parla è un mix di sanzioni vecchie e nuove, inclusa la questione del fentanyl. Proprio a Nino Galloni, “l’economista sovranista”, chiediamo di decifrare le mosse del capofila del sovranismo mondiale, Donald Trump.

  1. Prof. Galloni, lei ci crede nella tenuta di questo accordo fra Pechino e Washington?

È un accordo parziale ma stabile. Ciò che conta è ribadire che l’obiettivo di Trump è far crescere produzione, occupazione e salari negli Stati Uniti; vale a dire sostituire le importazioni. Trump lo può ottenere solo con una svalutazione del dollaro che non preluda ad altre svalutazioni competitive come avviene con i dazi (che sono quindi, in genere, una soluzione provvisoria). Per evitare la svalutazione competitiva, in condizioni pacifiche può solo offrire, in cambio, alla Cina la dedollarizzazione. E’ intuibile quanto la Cina covi un conflitto con gli altri BRICS perché – in alternativa al dollaro – non vuole altro che lo yuan. Questo è, dunque, lo scenario.

  1. Il bisogno di terre rare e semiconduttori indebolisce la forza negoziale degli USA o è sopravvalutato?

Non è sopravvalutato ma occorre considerare due aspetti: la domanda di terre rare risente dell’indebolimento di quella per macchine elettriche, nonché della presenza, ovvero la scoperta di esse, in diverse altre realtà del pianeta.

  1. Perché i dazi e il protezionismo si riflettono sul Dollar Standard?

Si tratta di un effetto apparente; la questione vera attiene alla maggior crescita dei BRICS (oltre metà della popolazione, quasi metà dell’economia del pianeta) che si smarcano sempre più dalla potenza Usa e, quindi, dalla prevalenza della sua valuta.

  1. Lei si sente vicino al sovranismo. Il protezionismo non è condannabile per un sovranista, vero?

Dipende dalle circostanze! Il mio maestro Federico Caffè ci ha sempre insegnato che la politica economica dispone di strumenti: monetari, fiscali, barriere tariffarie e non tariffarie…ma gli obiettivi sociali e politici sono la cosa più importante.

  1. Siamo in un’economia di guerra Professore?

Noi sovranisti siamo in grado di dare soluzioni democratiche ed economiche che si basano, innanzitutto, sull’esercizio della sovranità monetaria da parte dello Stato. Chi domina il pianeta non è d’accordo perché la fine della moneta a debito sarebbe anche la propria fine. Il problema è che l’attuale élite dominante non sa dare soluzioni: è la prima volta nella storia che ciò accade; e, allora, veniamo governati solo grazie alle emergenze, sanitarie, ambientali, geopolitiche ovvero belliche.

  1. Allora torniamo in Europa. Cos’è il Rearm Europe in due parole?

Il tentativo di rendere due servizi: il primo agli operatori sgangherati dell’Europa stessa che sono tecnologicamente molto arretrati; il secondo ad Usa e Israele che dispongono di tecnologie belliche avanzatissime ma le cui economie sono in difficoltà.

  1. Se il Rearm Europe fosse l’occasione di consolidare il progetto di un debito comune, letto alla maniera draghiana?

Aumenterebbero il ritardo e l’emergenza, niente di buono.

  1. Ora, immagini per un attimo, se lei fosse il Presidente della Commissione Europea, cosa farebbe che Ursula non fa?

Proporrei un dialogo serio e costruttivo con l’Africa, il Medio Oriente e la Russia senza escludere Cina, India, Usa e tutti gli altri.

                                                                                                          di Nadir Lehemdi

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