Nel mondo delle assicurazioni, saper prevedere, o illudersi di farlo, è fondamentale. Chissà se il lettore si sarà mai posto l’interrogativo: “Chi assicura l’assicuratore?”. Le compagnie di riassicurazione – che proprio questo ruolo svolgono – non hanno il lusso dell’indifferenza: devono guardare lontano, dove i dati sfumano e incerti sono i segnali. Ogni anno, proprio in questa fosca visuale, Swiss Re pubblica il suo rapporto SONAR: un radar del rischio che può servire anche ai non addetti al mestiere per capire quali scenari potrebbero scuotere le sorti delle nostre società e, per questo, sono giudicati più delicati dagli esperti.
L’edizione 2025, in uscita questo giugno, ci consegna un documento pregno di riflessioni, non per le catastrofi elencate, ma per la loro composizione – un insieme organico, connesso, che ci dice come il mondo non stia peggiorando in una sola direzione, ma in molte, contemporaneamente.
I fenomeni climatici estremi e le correlazioni
In cima alla lista dei rischi c’è il caldo estremo. Non è un fenomeno esotico o marginale, ma la principale causa di morte tra tutti i pericoli naturali. Più dei terremoti, più degli uragani, più delle alluvioni. Secondo Swiss Re, quasi mezzo milione di persone muore ogni anno per l’eccesso di calore. La cifra colpisce, ma colpisce ancora di più la sua invisibilità. Il caldo non devasta come uno tsunami, non lascia sensazionali rovine da dare in pasto ai telegiornali. Ma attraversa le giornate, infiamma le notti, crea problemi alle reti elettriche, soffoca le città, esaspera alcune malattie.
Luglio 2024 è stato il mese più caldo mai registrato. Negli Stati Uniti le ondate di calore sono tre volte più frequenti che negli anni Sessanta. Durano un giorno in più. Sono più calde di quasi un grado. E i sistemi di difesa – infrastrutture, ospedali, trasporti, reti – non sono pronti.
Nel 2021 una contea dell’Oregon ha intentato una causa da 52 miliardi di dollari contro i produttori di combustibili fossili, accusandoli di aver contribuito a una “cupola di calore” che ha ucciso decine di persone. Non è solo cronaca giudiziaria: è il segno che il clima sta entrando nei tribunali, perlomeno nelle audaci corti americane del common law. Con esso le assicurazioni che si occupano di pericoli e di responsabilità.
Ma non v’è solo il caldo. C’è un insieme di collateralità. Il rapporto SONAR è anch’esso mappa di un mondo a frattali. In silenzio, i funghi si stanno adattando alle nuove temperature. Crescono dove prima non potevano, colpiscono coltivazioni, animali e – più recentemente – anche l’uomo. I fungicidi usati in agricoltura hanno accelerato il fenomeno, consentendo la selezione di ceppi resistenti. Il risultato: raccolti compromessi, infezioni pericolose, rischi per la salute pubblica. Anche questo, in un certo senso, è un effetto del riscaldamento.
Swiss Re parla di “perdita del margine operativo della natura”. C’è ben poca poesia in questa formulazione, ma è il segnale che si stia diffondendo la consapevolezza che la “natura” fatichi sempre più.
Lavoro, plastiche, alimentazione
Ci sono poi i rischi invisibili perché non vi facciamo mai caso. Il rapporto segnala l’aumento del consumo di cibi ultra-processati. Sono ovunque: nelle mense scolastiche, nei distributori automatici, nei pasti pronti del supermercato. C’è una correlazione già ben nota ma crescente tra il loro consumo e l’insorgere di malattie croniche – obesità, diabete, disturbi cardiovascolari. Per l’assicuratore, è una questione di salute pubblica. Per la società, è una questione di consapevolezza, di accesso al cibo, di cultura.
Il rapporto non risparmia la plastica, che entra negli oceani, poi nei pesci, poi nei nostri piatti. L’industria – osserva Swiss Re – è in bilico: c’è chi parla già di “Big Plastic”, con lo stesso tono con cui un tempo si parlava di “Big Tobacco”. Le cause legali per microplastiche e danni alla salute sono ancora poche, non si escludono fiammate. .
Sul piano del lavoro, spicca un paradosso, quasi rassicurante: l’automazione promette efficienza, ma genera vuoti di competenze. Manca personale qualificato per gestire le nuove tecnologie. E così cresce il rischio di errori, ritardi, interruzioni. Il capitale umano – sempre evocato, mai coltivato – si scopre indispensabile.
Ancora, l’irrisolta questione della demografia: l’Occidente invecchia. Nascono meno figli, si allungano le aspettative di vita. Risorgono i vecchi interrogativi: chi pagherà pensioni, cure, assistenza? E in tutto questo, come cambierà la domanda di “protezione”?
Le ombre dell’intelligenza artificiale
Infine le tecnologie digitali. L’intelligenza artificiale, che è la grande innovazione di questo decennio e del prossimo, comincia anche a mostrare i suoi margini d’errore. Gli incidenti legati all’AI sono aumentati del 60% in un solo anno. Un terzo di questi è dovuto a malfunzionamenti di sistema. Il report non si dilunga, ma il messaggio è chiaro: prima che la tecnologia sia affidabile, qualcuno dovrà assicurare le sue conseguenze. Accanto a questo, la disinformazione, della quale oggi l’IA amplifica e invera le potenzialità. I deepfake non sono più giocattoli da social, ma strumenti di manipolazione: possono truccare una voce, alterare un volto, costruire una bugia perfetta. Per le assicurazioni, significa anche truffe più difficili da individuare. Per la società, significa semplicemente un ulteriore passo verso la crisi del concetto di “verità”.
Sul fondo, in cauda venenum, un rischio emergente che non è per nulla da sottovalutare: la sfiducia. Quella nei confronti delle istituzioni, delle assicurazioni, dei governi. Un fenomeno globale, che mina la capacità stessa di affrontare insieme i problemi. Perché senza fiducia, anche le coperture più sofisticate falliscono. Chi non crede, non compra. E chi non compra, resta scoperto.
C’è qualcosa di profondamente interessante in questo sguardo. I rischi elencati non sono solo “assicurabili”. Sono indicatori di trasformazione. In un certo senso, i riassicuratori fanno qualcosa che non usa più come una volta in ambiti come la politica o l’impresa: guardare il presente come null’altro che una soglia del futuro.
E dunque, la domanda da porsi non è “se”, ma “come”. Come reagire, come adattarsi, come ricostruire fiducia. E soprattutto: come evitare che ciò che è rischio oggi diventi catastrofe domani.