La cosa funziona così. Le privatizzazioni a cura di Prodi e soprattutto di Draghistan, noto frequentatore del “Britannia” (v. link in calce), dove si sono decisi i destini delle aziende pubbliche italiane da privatizzare, in nome della sconfitta del “Comunismo Sovietico”, e che, quindi, si doveva radere al suolo il settore pubblico (bisognava proprio far dimenticare agli italiani il concetto stesso di “Azienda pubblica”), prima quello delle imprese e poi, con calma, anche la Pubblica amministrazione: un’impresa controllata dallo stato (vi ricordate l’Iri?), produceva i prodotti o servizi e alla fine dell’anno guadagnava per esempio 100 euro (faccio solo per capire più facilmente). Dopo di che, di quei 100 euro, 90 li spendevano in reinvestimenti e occupazione e l’economia cresceva, e solo 10 li davano agli azionisti, cioè allo Stato.
Dopo di che, qualcuno si accorse che le imprese italiane, al contrario di come i mass media le pubblicizzavano (“privato è bello!”), erano redditizie, e, caduto il comunismo (e quindi il pericolo comunista in Italia), ci fu l’assalto alle imprese pubbliche italiane.
E così, complice la caduta del muro di Berlino e le “quinte colonne” all’interno dello Stato italiano, che si volle cambiare pagina (“vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole”) e la società italiana è stata violentemente privatizzata e omologata alla società Usa. Un disastro.
Perché le imprese privatizzate, vennero letteralmente scarnificate e messe a reddito forzato dal “privato è bello”. Mi spiego meglio. Al contrario delle imprese pubbliche, che destinavano il 90 per cento del guadagno agli investimenti, e solo il 10 per cento alla remunerazione del capitale, che era statale: le imprese private facevano esattamente il contrario. Il 90 per cento lo destinavano agli utili, e solo il 10 per cento lo destinavano agli investimenti. Risultato? Aumento della disoccupazione e aumento degli utili e arricchimento dei privati che avevano comprato le aziende pubbliche italiane.
Di questo, ne abbiamo avuto un esempio plastico nel 2018, in occasione del crollo del ponte Morandi di Genova. La società concessionaria delle autostrade italiane, che faceva capo ai Benetton, invece di investire la maggioranza dei guadagni nelle autostrade e tenere una manutenzione a regola d’arte, preferiva indirizzare i guadagni verso la distribuzione degli utili (almeno così le cronache), così facendo, il ponte, sotto gli occhi di tutti, si ammalorava, ma misteriosamente nessuno se ne accorgeva di quelli che se ne dovevano accorgere (sembra Toto’).
Tutto qui. Nelle fabbriche idem. Vendi panettoni? Per incamerare 90 su 100 di utili della vendita, allora si taglia di tutto (soprattutto le spese per i personale) affinchè gli azionisti possano ricevere degli utili. Cioè 90 invece di 10. Così, piano piano, ci siamo americanizzati, e, come in America, ci siamo ridotti (quasi) che non bastano spesso due lavori per sopravvivere. Viva il Capitale! Viva il privato!
Ah, per chi non ci crede, invito a leggere il libro di Nino Galloni: “Come è stata svenduta l’Italia”. Ed. 2020 (meno di 100 pagg.).
Massimo Piccolo
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
(Le privatizzazioni fatte sul “Britannia”)
https://www.avvenire.it/attualita/pagine/bodrato-il-politico-che-non-sali-sul-britannia
https://www.unimondo.org/Notizie/La-democrazia-uccisa-dalle-privatizzazioni-di-Draghi-227037
<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<