– “Scientia potentia est”, così sentenziava Francesco Bacone. A questo vien da pensare quando sentiamo parlare degli investimenti in innovazione da parte dell’Ellison Institute of Technology. Poco conosciuto al pubblico nostrano, l’EIT, creato e finanziato dal fondatore di Oracle, investirà 118 milioni di sterline nell’Oxford Vaccine Group per un programma quinquennale dedicato a vaccini contro i batteri resistenti agli antibiotici. L’iniziativa viene presentata con una formula che in italiano risuona un po’ ampollosa: ‘alleanza fra intelligenza artificiale e ricerca biomedica’. Il progetto si chiama CoI-AI e usa i modelli computazionali per trovare correlazioni tali da permettere di intervenire per prevedere e rafforzare le risposte immunitarie.
Il programma non si limita a raccogliere dati: prevede trial clinici in cui volontari sani vengono esposti a ceppi batterici come E. coli, S. pneumoniae e S. aureus. Esperimenti ad alto rischio, come dice il Financial Times che anticipa la notizia “where participants are deliberately infected under controlled conditions – nei quali i partecipanti sono intenzionalmente infettati in condizioni controllate” ma che promettono di svelare informazioni decisive per la progettazione di nuovi vaccini. Il finanziamento, però, è solo uno scorcio che ci permetta di cogliere la possanza del progetto: entro il 2027 sorgerà a Oxford un campus da oltre un miliardo di sterline. Si parla di trentamila metri quadrati con laboratori, supercomputing e borse di studio per decine di giovani ricercatori da tutto il mondo.
Tuttavia per avere uno sguardo desto sulla portata di questa notizia, è utilissimo ricordare da dove arrivino le risorse. Larry Ellison, classe 1944, aspetto enormemente giovane rispetto alla propria età, fondava nel 1977 la società che diventerà Oracle, su un’intuizione allora pionieristica: i database relazionali, cioè quel tipo di archivi che organizzano i dati in tabelle collegate e che permettono interrogazioni complesse attraverso linguaggi come SQL. La CIA a quanto pare fu uno dei primi clienti, con il progetto in codice “Oracle”, che diede probabilmente anche il nome all’azienda.
Oracle, una storia di management dell’influenza
Oracle è poi diventata leader mondiale nei software gestionali e nella virtualizzazione, grazie a grandi contratti con enti pubblici e imprese private. Negli anni 2000, sotto la guida di Ellison, l’azienda ha condotto una serie di acquisizioni importanti: PeopleSoft, BEA Systems, Hyperion, Siebel. E ha esteso la sua presenza al cloud e all’hardware con l’acquisizione di Sun Microsystems. Oggi vale oltre 600 miliardi di dollari di capitalizzazione.
La fortuna di Ellison deriva in gran parte dalla quota che continua a detenere, fra il 30 e il 43% di Oracle, e che lo colloca fra i primi dieci uomini più ricchi del pianeta. Accanto a lui, investitori istituzionali come BlackRock e Vanguard possiedono quote di minoranza. In questa storia, nella quale non c’è solo la sagoma di Ellison, anche dei manager di peso. Ray Lane, proveniente da IBM, EDS e Booz Allen Hamilton. Mark Hurd, dopo due decenni in NCR e la guida di Hewlett-Packard, arrivò a Oracle nel 2010. Ci pare però doveroso ricordare Charles Phillips, venuto da Morgan Stanley, dove era stato uno degli analisti più influenti nel settore tecnologico. In Oracle divenne “co-presidente” e guidò l’organizzazione commerciale: sotto la sua guida, siamo negli anni 2000, i ricavi aumentarono di quasi il 300%, e prese vigore la lunga serie di acquisizioni (oltre 70 società in pochi anni) che portò InformationWeek a definirlo “L’arma segreta di Oracle” e ne seppe connotare la tendenza monopolistica. Così entrava il colosso nella sua fase di maturità industriale. Phillips diveniva uno degli afroamericani più visibili nell’industria tecnologica a metà anni 2000, dando a Oracle anche, se vogliamo, un significato sociologico che si inserisce in quell’industria high-tech che meglio di altre, e per necessità, ha saputo “accogliere”.
In ogni caso Oracle ha senza dubbio intrecciato talenti provenienti dalla consulenza strategica, dalla finanza, dalla grande industria, costruendo un CdA che ha in questo modo attraversato e incrociato molte delle sedi del potere economico globale.
Il passaggio dalla tecnologia dei database alla ricerca biomedica non è lineare, ma diventa comprensibile se letto in una chiave di influenza: oggi la frontiera non è più solo conservare i dati, ma produrli, elaborarli, trasformarli in strumenti di governo della salute. Le pagine di Focacult, nonché le sue “non lezioni” al Collège de France insegnano l’importanza del tema, solo lui oggi avrebbe saputo trovare non solo una conferma dei propri studi ma ampliarne le prospettive. Non sorprende che, mentre i governi riducono i fondi per la ricerca vaccinale, un privato colossale colmi il vuoto. È difficile, tuttavia, credere che questa dinamica sia neutrale.
Il Regno Unito, il ritorno al nido Angloamericano e l’incognita europea
Allora dobbiamo chiederci che cosa sia questo progetto di Oxford. Se rappresenti per l’Europa una di quelle chances di leadership scientifica mai abbastanza colte. O se in realtà non sveli nel ripercorrere il filo del capitale che fa da matrice a questa come ad altre operazioni di ricerca biomedica, anche la sua fragilità. Se non sia diventato, per chi scrive e per chi legge, inutile riflettersi nelle foschie dell’altra sponda della Manica come se ancora di Europa si trattasse. Se quindi anche questo passo non sia che un altro giro di vite di quel ricompattamento del mondo anglofono che congeda la fanciulla Europa, senza più darle riflessi che possano permetterle di guardarsi e comprendersi, ammirarsi e piangere le proprie fragilità. Ci sarà mai un’Europa che oltre gli abbagli di breve-medio periodo del PNRR sappia compiere un primo passo a livello istituzionale, in termini di spesa pubblica, sfruttando gli enti e le università squisitamente pubblici che tanto la caratterizzano per compiere investimenti simili?
Infine: la resistenza antimicrobica colpisce soprattutto i Paesi più poveri, quelli con sistemi sanitari fragili e meno accesso a farmaci di ultima generazione. La “partnership” tra Oxford e l’Ellison Institute è, al tempo stesso, un’opportunità e un rischio. Opportunità, perché mette risorse e tecnologia a disposizione della ricerca più avanzata; rischio, perché affida a un soggetto privato la regia, perlomeno finanziaria, di un processo che tocca la salute di milioni di persone. Ma, in compenso, in un ordinamento e in un sistema di produzione tipicamente anglosassone, quindi avvezzo all’importanza delle Authorities e alla Regulation. La prudenza, qui, non è una virtù accessoria: è la condizione minima per valutare se la conoscenza, quel potere di cui parlava il nostro primissimo Bacon, possa diventare davvero bene comune, o se resti ancora una volta lo strumento di influenza di chi già possiede, e persiste, nel decidere gli esiti.
Nadir Lehemdi