Ci lamentiamo. Ci indigniamo. Puntiamo il dito verso “il sistema”, verso “loro”, verso un’entità astratta e distante, responsabile di ogni male che affligge la nostra nazione, la nostra regione, la nostra stessa città. Ma se per un istante ci fermassimo a riflettere, con lucidità, scopriremmo una verità scomoda, eppure liberatoria: il sistema, in ultima analisi, siamo noi.
Immaginate un orologio. Ogni ingranaggio, ogni minuscola molla, ogni lancetta ha un ruolo preciso, una funzione insostituibile nel far sì che il tempo scorra con implacabile precisione. Se un solo componente si inceppa, o peggio, decide di agire per conto proprio, l’intero meccanismo si blocca, o scandisce un tempo falsato. Allo stesso modo, una società è un complesso congegno di individui, ognuno con un ruolo, una funzione, una responsabilità. Quando la smania di apparire insostituibili prevale sulla consapevolezza di essere “solo” piccole ma vitali componenti, il sistema non crolla per una forza esterna, ma si corrompe dall’interno, alimentato dalla stessa presunta eccezionalità che crede di combattere.
La storia, maestra impietosa, ce lo ricorda costantemente. “Abbiamo solo eseguito gli ordini!” – una frase echeggiata nelle aule di Norimberga, un tentativo disperato di deresponsabilizzarsi, di lavarsi le mani dal peso delle proprie azioni. Eppure, quella frase non è polvere del passato, è un monito attualissimo. Quante volte, nel nostro quotidiano, ci trinceriamo dietro la facile scusa del “così si fa”, del “non posso farci nulla”, del “se non lo faccio io, lo farà qualcun altro”? Questo atteggiamento, figlio di una memoria corta e di una sorprendente incapacità di apprendere dagli errori collettivi, è il vero carburante di quel “sistema” che poi tanto ci ripugna.
Pensiamo al voto, quel momento in cui il destino di una comunità si deposita su una scheda, pensate all’elezione del sindaco del paese. Troppo spesso, la scelta non è guidata da una visione etica o da una valutazione oggettiva del bene comune, ma da un calcolo meschino: una bolletta da pagare, una spesa da farsi “offrire”, un posto di lavoro promesso per un figlio o un nipote. È il trionfo del “Cetto La Qualunque” di turno, del politicante che, svincolato da ogni obbligo di mandato, agirà nell’esclusivo interesse della sua cerchia, mentre il cittadino complice si rifugia poi al bar, tra lamentele sterili e ipocrite. La nostra voce resta sorda non perché non abbia forza, ma perché disgreghiamo il suo potenziale, preferendo il tornaconto personale alla direzione comune.
E che dire di chi, in situazioni critiche, si presta a favorire una narrazione distorta? Abbiamo visto autisti di ambulanze, filmati dai cittadini stessi, girare a sirene spiegate con mezzi vuoti durante il periodo del Covid, seminando un terrore ingiustificato. Anche loro, inconsapevolmente o meno, hanno alimentato il “sistema”, contribuendo a quel clima di ansia e precarietà. Ci lamentiamo delle condizioni in cui viviamo, ma ignoriamo che queste persone, quei “componenti” che critichiamo, sono i nostri figli, i nostri fratelli, i nostri vicini. Il sistema non è un’entità aliena, è il riflesso delle nostre scelte quotidiane e delle nostre omissioni.
Perfino il contadino, l’imprenditore agricolo, chiamato a essere custode della terra e promotore del “chilometro zero”, può cadere nella trappola. Se si lascia convincere a coprire i campi con pannelli solari, sacrificando la produzione di frutta, verdura e ortaggi, diventa parte di un ingranaggio che, forse in un futuro non lontano, ci mostrerà il calo della produzione agricola italiana, la crisi alimentare (magari abilmente orchestrata) e ci dirà: “siete stati voi i complici di questo sistema”.
Questo non è un atto d’accusa, ma un invito alla consapevolezza. È un’esortazione a rompere il ciclo della lamentela sterile e dell’autocommiserazione. Siamo i frammenti di uno specchio in cui il sistema si riflette. Ogni volta che agiamo con integrità, con spirito critico, con visione a lungo termine, ogni volta che anteponiamo il bene collettivo al piccolo vantaggio personale, quel frammento brilla di una luce diversa. E se abbastanza frammenti decidono di brillare, l’immagine riflessa cambia radicalmente.
Non possiamo più permetterci di delegare la responsabilità a un’entità indistinta. Il cambiamento inizia da qui, da noi. Dalla scelta di non eseguire ordini che sviliscono la nostra coscienza, di non vendere il nostro voto per un pugno di mosche, di non alimentare con il nostro silenzio o la nostra complicità un meccanismo che ci sta logorando. Solo quando ogni individuo riconoscerà il proprio insostituibile ruolo, la propria responsabilità morale nel grande orologio della società, potremo sperare di vedere scandire il tempo di un futuro migliore, più giusto, più integro. Il sistema non cambierà per decreto, ma per una riscoperta collettiva della nostra umanità e del nostro dovere civico. Il sistema siamo noi e la soluzione è nelle nostre mani.
Francesco Paolo Cinquemani
*avvocato