Dal mito di progresso alla realtà di un’opera che alimenta squilibri territoriali.
Nel novembre 1979, persino Topolino celebrava il sogno del Ponte sullo Stretto di Messina: un collegamento sospeso tra Sicilia e Calabria, lungo 1278 metri, capace di resistere ai venti e ai terremoti. Oggi, a quasi cinquant’anni da quelle prime prove di stabilità, il progetto è tornato in auge con un costo stimato di 13,5 miliardi di euro. Ma dietro l’ambizione ingegneristica si celano interrogativi cruciali: chi ne trarrà reale beneficio? Dove finiranno i fondi pubblici investiti? E soprattutto, è questa la priorità per il Sud Italia?
Un ritorno economico discutibile
Secondo il Centro Studi di Unimpresa, il ponte genererebbe circa 535 milioni di euro l’anno in ricavi da pedaggi, con uno scenario ottimistico che arriva a 800 milioni. Tuttavia, l’utile operativo netto si aggirerebbe intorno ai 100 milioni annui. In 30 anni, il ponte recupererebbe solo 3 miliardi di euro, ovvero appena il 23% del costo totale. Il resto verrebbe coperto da fondi pubblici. In un contesto in cui le infrastrutture locali sono carenti, le ferrovie obsolete e i servizi essenziali sottofinanziati, questa scelta appare miope.
Chi guadagna davvero?
Nel 2025, i soggetti coinvolti nella costruzione sono numerosi e internazionali:
Soggetto | Ruolo | Sede legale |
Stretto di Messina S.p.A | Concessionaria | Roma – Italia |
Webuild S.p.A. | Capofila consorzio costruttori | Rozzano – Italia |
Parsons Corporation | Consulente tecnico | Chantilly, USA |
COWI A/S | Consulente progettazione | Lyngby – Danimarca |
Dissing+Weitling A/S | Architettura | Copenaghen – Danimarca |
A questi si aggiungono partner storici come IHI Corporation (Tokyo), Sacyr S.A. (Madrid), Condotte 1880 (Roma), e altri. La maggior parte delle sedi legali è lontana dal territorio che il ponte dovrebbe servire, mentre i benefici economici andranno altrove, Sicilia e Calabria resteranno spettatrici.
La gestione affidata a Pietro Ciucci
A guidare la società Stretto di Messina S.p.A sarà Pietro Ciucci, già presidente dell’ANAS all’epoca del viadotto Scorciavacche, crollato sei giorni dopo l’inaugurazione nel dicembre 2014. Dopo un lungo processo, Ciucci è stato assolto “per non aver commesso il fatto”, ma il suo coinvolgimento in quell’opera fallimentare solleva dubbi sulla scelta di affidargli oggi la gestione di un’infrastruttura ben più complessa e costosa.
Salvini: da oppositore a promotore
Nel 2016, Matteo Salvini dichiarava: “Non vorrei spendere qualche miliardo di euro per un ponte in mezzo al mare, quando in Sicilia e Calabria ci sono ancora ferrovie a binario unico e treni a gasolio”. All’epoca, la Lega era contraria al progetto. Oggi, da ministro dei Trasporti, Salvini è il principale promotore dell’opera, che definisce “senza precedenti al mondo” e “volano di sviluppo economico e strategico”, non certamente per la Sicilia o la Calabria, vediamo il perché.
Lombardia: il vero vincitore del Ponte
Secondo lo studio di OpenEconomics, la Lombardia sarà la regione che beneficerà maggiormente dalla costruzione del ponte, con un incremento del PIL stimato in 5,6 miliardi di euro e oltre 9.300 nuovi posti di lavoro. Il motivo è semplice: molte delle imprese coinvolte nella filiera produttiva – dalla progettazione all’ingegneria meccanica – hanno sede in Lombardia. Webuild, capofila del consorzio Eurolink, è una società lombarda, e gran parte dei subappalti e delle forniture tecniche saranno gestiti da aziende del Nord.
Il ministro Salvini ha confermato che “la prima regione italiana che fruirà dei benefici economici sarà proprio la Lombardia”, con un incremento stimato del 30% del PIL regionale. Al contrario, Sicilia e Calabria vedranno ricadute economiche molto più modeste: rispettivamente 2,1 e 1,4 miliardi di euro. Questo squilibrio territoriale solleva interrogativi sulla reale equità del progetto.
Le vere priorità del Sud
Mentre si investono miliardi in un ponte, le strade provinciali siciliane cadono a pezzi, i treni regionali sono lenti e insufficienti, e molte aree interne della Calabria sono isolate. La disoccupazione giovanile resta tra le più alte d’Europa, e la fuga di cervelli continua inesorabile. In questo contesto, il ponte rischia di diventare un simbolo di spreco e disattenzione verso le esigenze reali dei cittadini.
In Conclusione
Il ponte è diventato una scelta politica, non tecnica, un simbolo: di ambizione, di propaganda, di una visione dello sviluppo centrata su grandi opere; ma il rischio è che resti un monumento all’inefficienza, più utile a chi lo costruisce che a chi lo attraversa. Come nel 1979, l’idea affascina, ma oggi, più che mai, serve lucidità: il Sud ha bisogno di investimenti concreti, non di sogni sospesi.
Francesco Paolo Cinquemani
*avvocato