RNA negli ortaggi: il nuovo inganno verde

RNA negli ortaggi: il nuovo inganno verde

Sostenibilità, innovazione, progresso. Sono queste le parole chiave con cui l’agroindustria tenta di presentare al pubblico la nuova frontiera tecnologica: l’uso di molecole di RNA per proteggere le colture da virus, funghi e parassiti. Una promessa di riduzione dei pesticidi, di minore impatto ambientale, di un’agricoltura più “green”. Ma dietro questa facciata rassicurante si cela un gigantesco esperimento condotto non nei laboratori, bensì direttamente nei campi e sulle nostre tavole, senza consenso, senza trasparenza, senza garanzie.

Il cibo come laboratorio a cielo aperto

Le molecole di RNAi vengono spruzzate sulle piante per “silenziarne” i patogeni. Gli scienziati assicurano che si degradano rapidamente e non lasciano tracce nei frutti che consumiamo. Ma quante volte abbiamo già ascoltato simili rassicurazioni? Dal DDT al glifosato, la storia dell’agricoltura industriale è costellata di sostanze dichiarate innocue e poi rivelatesi tossiche. Oggi il rischio è che i nostri campi diventino un laboratorio a cielo aperto, con milioni di cittadini trasformati in cavie inconsapevoli.

Multinazionali all’assalto

Non sono i contadini a guidare questa rivoluzione, né i consumatori che ogni giorno portano a casa frutta e verdura. A muovere i fili sono le grandi multinazionali agrochimiche, che vedono nell’RNA un nuovo business miliardario. Ogni tecnologia diventa occasione per brevettare, controllare, imporre dipendenze. Non è un caso che i progetti pilota siano già accompagnati da pacchetti commerciali che vincolano gli agricoltori a sementi e trattamenti “compatibili”. La sostenibilità, in questo scenario, si riduce a un paravento per consolidare monopoli.

E noi cittadini? Esclusi dal dibattito, privati di etichette chiare, di studi indipendenti a lungo termine, di un’informazione trasparente. Ci viene detto che non dobbiamo preoccuparci, che la scienza ha già deciso per noi. Ma il diritto di sapere cosa mettiamo nei nostri piatti non è negoziabile. Senza trasparenza, ogni promessa di progresso si trasforma in sospetto.

La retorica del “verde”

Il paradosso è evidente: questa tecnologia viene venduta come “green”. Meno pesticidi, meno chimica, più rispetto per l’ambiente. Ma davvero possiamo parlare di rispetto quando si sostituisce un veleno con una manipolazione genetica transitoria, mai testata su larga scala? Non è forse l’ennesima illusione ecologica, costruita per tranquillizzare le coscienze e aprire nuovi mercati?

Se questa strada verrà percorsa senza freni, rischiamo di consegnare l’agricoltura a un pugno di colossi che controlleranno non solo le sementi, ma anche i trattamenti obbligatori per mantenerle in vita. Un sistema chiuso, dove il contadino diventa dipendente e il consumatore perde ogni libertà di scelta. Non è agricoltura, è colonizzazione tecnologica.

Conclusione

Il cibo è cultura, identità, vita. Trasformarlo in un esperimento industriale significa tradire la fiducia dei cittadini e mettere a rischio la salute pubblica. Finché non ci saranno studi indipendenti, regole chiare ed etichette trasparenti, ogni pomodoro, ogni zucchina, ogni mela trattata con queste tecniche resterà il simbolo di un inganno globale.

La domanda che resta, semplice e bruciante, è questa: vogliamo davvero che la nostra alimentazione diventi il terreno di gioco di interessi economici mascherati da progresso?

Il vero progresso non consiste nell’abbandonare le radici, ma nel riscoprire l’agricoltura dei nostri avi, coltivando la terra con sementi tradizionali non modificate geneticamente, custodi di biodiversità, sapori autentici e di un equilibrio più armonioso con la natura e nel rispetto di quest’ultima.

Francesco Paolo Cinquemani

*avvocato

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