Un amico assicuratore, come tanti altri, mi racconta delle code che si sono create nel suo ufficio per avere chiarimenti sulla modifica dell’art. 94, comma 4-bis del codice della strada che molto spesso, complica la vita alle persone, anziché facilitarla.
Il Codice della Strada impone obblighi severi, ma lascia aperti interrogativi. Ecco perché la legge deve essere chiara e quali mosse intelligenti adottare per evitare sanzioni senza violare il diritto.
Un veicolo intestato a terzi e utilizzato per più di 30 giorni senza comunicazione alla Motorizzazione Civile può costare caro: da 705 a 3.526 euro, più il ritiro della carta di circolazione. Ma cosa significa “uso continuativo”? Chi certifica l’inizio dell’uso? E soprattutto: si può sanzionare sulla base di una presunzione?
La risposta è no. La norma, pensata per contrastare intestazioni fittizie, rischia di trasformarsi in un rebus giuridico che mette in difficoltà famiglie e imprese.
Contesto e criticità
L’articolo 94, comma 4-bis del Codice della Strada nasce con una finalità chiara: impedire intestazioni di comodo e garantire la tracciabilità dei veicoli. Tuttavia, il testo normativo presenta lacune evidenti:
- Non definisce l’inizio dell’uso: quando parte il conteggio dei 30 giorni? Dal primo giorno di guida? Dal momento in cui il veicolo è “a disposizione”?
- Non chiarisce il concetto di “uso continuativo”: esclusivo? prevalente? alternato?
- Non stabilisce criteri di accertamento: chi certifica che io stia usando quel veicolo da più di 30 giorni? Non esiste un registro ufficiale, né controlli sistematici.
Queste ambiguità generano incertezza e rischiano di trasformare una norma di prevenzione in una trappola burocratica.
Presunzione e prova: il nodo giuridico
Può l’amministrazione sanzionare sulla base di una presunzione?
No. Il principio di legalità (art. 1 L. 689/1981) impone che ogni sanzione sia fondata su prove concrete. Dire “vive fuori sede, quindi usa l’auto da più di 30 giorni” non basta. In caso di contestazione, l’onere della prova ricade sull’autorità, non sul cittadino.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4599/2022, ha affermato un principio di portata generale: se la norma non è chiara, nessuna responsabilità può essere posta in capo al contribuente. Questo orientamento, seppur in ambito tributario, è perfettamente applicabile alle norme stradali. Una legge oscura mina la certezza del diritto e viola il principio di legalità.
Come ricorda la dottrina: «Ogni norma deve essere interpretata per applicarla ai casi concreti. Quando il linguaggio è ambiguo, l’interpretazione diventa essenziale». Il legislatore deve garantire chiarezza, specificità e determinatezza, altrimenti la norma diventa arbitraria.
Ecco le mosse possibili:
- Alternanza nell’utilizzo
Evitare che lo stesso soggetto utilizzi il veicolo in modo esclusivo per oltre 30 giorni. Se più persone lo guidano, la continuità è difficile da dimostrare. - Uso non esclusivo e documentabile
Conservare tracce di utilizzo alternato: pedaggi, ricevute di carburante, manutenzione. Non serve un contratto, basta dimostrare che il veicolo non è “stabilmente” affidato. - Rientri periodici alla residenza dell’intestatario
Se il veicolo è fuori sede, programmare spostamenti regolari per evitare che appaia come trasferito in modo permanente. - Evitare dichiarazioni che fissano una data certa
Non formalizzare accordi che possano essere interpretati come “inizio dell’uso continuativo”. Meglio mantenere flessibilità e alternanza. - Gestione intelligente delle prove
In caso di contestazione, la difesa si basa sulla mancanza di certezza: la norma è ambigua, l’accertamento è discrezionale, e la presunzione non basta per sanzionare.
Conclusione
La norma sull’uso continuativo nasce per contrastare frodi, ma colpisce situazioni comuni e lascia troppi vuoti interpretativi. Finché il legislatore non chiarirà cosa significa “uso continuativo” e come si accerta, il rischio è che la legge diventi una trappola. E la giurisprudenza è chiara: una sanzione non può basarsi su presunzioni né su norme oscure.
Il rispetto delle regole passa dalla loro comprensibilità. Serve una riforma che tuteli le famiglie, semplifichi le procedure e garantisca certezza del diritto. Fino ad allora, la strategia è una sola: agire con prudenza, evitare esclusività e conservare prove di utilizzo alternato. Perché nel diritto, come nella vita, la chiarezza è la prima forma di tutela.
Francesco Paolo Cinquemani
*avvocato
