“Dietro il successo sportivo c’è l’educazione della persona”. Il giornalista Vittorio Sanna racconta il progetto ScuoLavoro

Un giornalista, un tifoso, un educatore ma soprattutto la voce inconfondibile e ufficiale del Cagliari Calcio. Vittorio Sanna, tanta gavetta alle spalle e la voglia di reinventarsi sempre. Lo abbiamo incontrato per parlare del nuovo progetto educativo, legato anche al mondo dello sport, che lo vede protagonista: un’Academy che punta tutto sulla valorizzazione della persona.

In cosa consiste il progetto di ScuoLavoro e le attività di MAB&CO?
MAB & CO, è un’azienda che si occupa di consulenze agli imprenditori, gli stessi che poi tengono i corsi per aiutare le aziende a migliorarsi. Si punta tutto sulla persona. Il motto è: “La persona. L’imprenditore. Il successo”. Si lavora sulla centratura delle persone, per riuscire a ottenere il meglio. Per fare questo, utilizzano uno strumento che si chiama “I-Profile”: 240 domande che permettono di definire un quadro della persona che hai di fronte con tutte le sue caratteristiche comportamentali e caratteriali.

Questo strumento dell’I-Profile, è applicabile anche al mondo dell’educazione?
Assolutamente, questa filosofia del mettere la persona davanti a tutto e valorizzarne il talento, è alla base del nostro approccio. Il progetto educativo si chiama “All together” e mira a formare educatori, bambini e genitori. Si dirama in tre parti:

  1. Impari, parola intesa anche nell’accezione della lingua sarda, ovvero “Insieme”, ed è l’Academy dedicata ai genitori;
  2. ScuoLavoro – Il Futuro è già qui, la scuola per bambini: una classe “modello scuola” grazie alla quale organizziamo percorsi motivazionali ma anche legati alla conoscenza del territorio e all’educazione ambientale.
  3. Educational Speech, la formazione educativa dedicata a Aziende, Comuni e Scuole.

Io stesso inizierò a breve con il progetto “Impari” all’Istituto Comprensivo di Ales, il primo che ha sposato il nostro progetto. Saranno degli incontri, più che lezioni, dedicati ai genitori e agli insegnati della durata di 24 ore, perché si tratta di raggiungere delle consapevolezze sull’approccio che hanno all’educazione. In questa cornice si inseriscono anche gli Educational Speech, interventi di un solo giorno, della durata di 3-4 ore.

L’altro progetto che portiamo avanti è di tipo sportivo ed è legato al calcio. Abbiamo organizzato, infatti, uno stage permanente, praticamente un quarto allenamento alla settimana, per tutti quei ragazzi in cui abbiamo intravisto del talento. Siamo partiti con l’annata del 2010. Una volta a settimana, i ragazzi vanno ad Arborea gratuitamente, perché finanziati dalle aziende che hanno aderito al programma, e imparano sul campo da calcio e in aula ad diventare delle belle persone. Lavoriamo infatti per sviluppare il concetto di responsabilità, la motivazione, la comunicazione, l’empatia.

Quindi anche i dirigenti e gli allenatori prendono consapevolezza dei loro pregi e i loro difetti: riescono a mettersi in discussione?
Assolutamente si, anche nella dilettantistica. Stiamo facendo in modo che possano acquisire il metodo giusto per rapportarsi con i ragazzi e fare in modo che diventino coloro che valorizzeranno prima la persona e poi l’atleta che porteranno al successo. Il focus è sempre quello di mettere davanti a tutto la persona. È un progetto versatile che permette anche a chi non vorrà più continuare a intraprendere una carriera in ambito calcistico o dello sport, di essere preparata al mondo del lavoro.

Quante città hanno aderito, per adesso, al progetto dell’Accademy?
A livello di speech, c’è un’azienda che ha regalato a 11 comuni diversi gli Educational Speech mentre, a livello di scuole abbiamo Ales e Carbonia che sta attivando un corso per i bambini di 6 anni. Stiamo per raggiungere un accordo con la scuola di via Stoccolma di Cagliari e per il versante calcistico ha risposto positivamente l’Olbia. Una cosa importante da mettere in chiaro è che noi lavoriamo inizialmente come lavora il radiologo: lavoriamo per prevenire determinate problematiche e poi lo psicologo, il pedagogista, l’educatore, hanno la possibilità di entrare in gioco e di partire con una diagnosi chiara a livello scientifico. Faccio un esempio concreto: nel caso del Cagliari non ci sostituiamo allo psicologo della squadra o all’educatore, ma abbiamo un rapporto diretto con lo staff tecnico, col primo allenatore.

Com’è stata l’accoglienza del progetto da parte dei genitori? Avete avuto qualche riscontro?
Riscontri positivi, da parte dei genitori ma soprattutto dei bambini. I nostri corsi sono pensati per un massimo di 30 persone perché vogliamo che esista lo scambio, l’empatia, la comunicazione, anche tra genitori e non solo. Ci sono genitori di ScuoLavoro che dicono di essere migliorati nel rapporto con i figli ma anche con le altre persone. Molti di loro hanno talmente apprezzato il percorso che sono diventati dei consulenti. La chiave di lettura del progetto è che la persona deve sentirsi totalmente a suo agio, valorizzata, apprezzata e infatti riusciamo a togliere lo stigma e la paura di rivolgersi all’educatore o allo psicologo. Noi facciamo in modo di presentare ai genitori queste figure e fargli capire che sono funzionali alla crescita del bambino.

Molti genitori, infatti, sono diffidenti verso queste figure. Pensiamo ad esempio alle resistenze che tanti di loro pongono nei confronti di un possibile insegnante di sostegno da assegnare al proprio figlio…
Sì, qui entriamo anche nel campo di nuove prospettive, cioè nel senso che nei nostri corsi poniamo anche il problema agli insegnanti: siamo sicuri che non siamo noi che dobbiamo cominciare a pensare che l’approccio allo studio e il modo di apprendere sia cambiato in conseguenza della tecnologia? Molti casi di disgrafia e di dislessia sono semplicemente delle incompatibilità esistenti tra il modo di apprendere dei bambini e i metodi scolastici scelti. Non c’è una carenza, non c’è un deficit, c’è semplicemente un modo di apprendere totalmente differente, tanto è vero che molti di questi ragazzi, una volta che trovano il metodo a loro adatto, hanno successo nella vita.

Quando ero giovane io l’unico modo per apprendere era leggere, memorizzare e ripetere. Poi è arrivata la televisione e c’è stato un cambiamento vero e proprio a livello didattico, con conseguenza tutta una serie di problematiche. Io ho iniziato a insegnare nell’84 e tra le prime cose che ho fatto, perché lavoravo anche nel campo dell’informazione, è stato insegnare a leggere il messaggio mediatico. Il modo di apprendere ora è totalmente cambiato, si impara per sintesi: un bambino messo davanti a un cellulare, vede una serie di icone, quindi nella sua mente, non legge da sinistra a destra, ma scorre dall’altro verso il basso. Quindi l’immagine prima del segno grafico, ci clicca sopra e se la cosa gli interessa, va avanti, se non gli interessa, scorre e passa oltre, ma nel farlo compie un movimento visivo da destra a sinistra e non da sinistra a destra.

Giulia Lecis

 

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