L’Importanza Cruciale della Scheda Tecnica del Farmaco: Una Bussola Indispensabile per la Salute Che Nessun Medico Può Permettersi di Sottovalutare

L’Importanza Cruciale della Scheda Tecnica del Farmaco: Una Bussola Indispensabile per la Salute Che Nessun Medico Può Permettersi di Sottovalutare

Diverse volte mi sono sentito rispondere dal Giudice in udienza che: “il bugiardino” che non è altro che la scheda tecnica del farmaco “non ha valore”, addirittura un medico in udienza ha chiamato l’RCP “il bugiardello” tenendo a specificare che: “gli effetti indesiderati sono solo delle formalità che devono essere riportate ma, non hanno valore”.

Nel complesso e dinamico universo della sanità, la sicurezza e l’efficacia dei trattamenti farmacologici rappresentano principi cardine e ineludibili. All’interno di questo scenario, un documento assume un ruolo di primaria importanza: la Scheda Tecnica del Farmaco, o Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (RCP). Questo elaborato ufficiale non è un mero fascicolo burocratico, ma la “carta d’identità” e il “manuale operativo” del farmaco, uno strumento con valore legale e scientifico che guida i professionisti sanitari nella prescrizione e somministrazione. La sua mancata o superficiale consultazione, o peggio, il deliberato discostarsi dalle sue indicazioni senza una solida motivazione clinica, rappresenta una grave violazione dei principi di buona pratica clinica e può configurare una condotta di negligenza professionale.

Un caso emblematico, che solleva profondi interrogativi sulla condotta delle autorità sanitarie nazionali e regionali, è quello relativo alla campagna di vaccinazione anti-COVID-19 rivolta alle donne in gravidanza e in allattamento.

Il Conflitto Palese: Informazioni Mancanti contro Promozione Attiva

L’analisi dei documenti ufficiali dei vaccini a mRNA utilizzati durante la campagna pandemica rivela una criticità fondamentale. Il “Risk Management Plan” del vaccino Comirnaty (BNT162b2), nel suo aggiornamento di novembre 2022, classificava esplicitamente l’“Uso in gravidanza e in allattamento” tra le “Informazioni Mancanti” (“Missing Information”). Questa dicitura non è una sfumatura semantica, ma un’ammissione chiara e formale da parte del produttore, validata dalle agenzie regolatorie, che non esistevano dati sufficienti per stabilire un profilo di efficacia e sicurezza per questa specifica e vulnerabile categoria di pazienti. Nello stesso documento, anche i “Dati sulla sicurezza a lungo termine” venivano elencati come informazione mancante.

Nonostante questa fondamentale lacuna informativa, scritta nero su bianco nel documento più importante del farmaco, il sistema sanitario italiano ha intrapreso una decisa e capillare campagna per promuovere la vaccinazione proprio a questa popolazione. Ne è un esempio concreto il materiale promozionale di Aziende Sanitarie Locali, come quello della ASL Roma 6, che organizzava “Open Day Vaccinale COVID-19 per donne in gravidanza”, invitando attivamente le “future mamme” ad aderire alla vaccinazione. Questa condotta non è stata un’iniziativa isolata, ma parte di una strategia nazionale che presentava il vaccino come sicuro ed efficace anche per le donne incinte, in palese contraddizione con le evidenze (o meglio, la loro assenza) riportate nella scheda tecnica del prodotto.

Le Implicazioni Giuridiche e Deontologiche

Questa discrepanza ha creato un cortocircuito giuridico e deontologico. La legge n. 219 del 2017 sancisce il principio fondamentale del consenso libero e informato, stabilendo che «nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge». Ma come può un consenso essere veramente “informato” se l’informazione primaria e ufficiale, l’RCP, dichiara di non possedere dati cruciali sulla sicurezza?

La giurisprudenza ha più volte ribadito l’importanza di una corretta informazione. In un caso relativo alla vaccinazione antinfluenzale, un tribunale ha sottolineato che l’onere di informare il paziente sui rischi, anche se rari, è un dovere del sanitario che procede alla somministrazione. Promuovere attivamente un farmaco per un’indicazione segnalata come “mancante” nell’RCP pone i medici e il sistema sanitario in una posizione di grave responsabilità, esponendo i pazienti a un rischio non pienamente conosciuto e, di conseguenza, non validamente accettato.

Recentemente, alcuni tribunali hanno iniziato a esaminare criticamente le misure adottate durante l’emergenza. In una significativa sentenza, il Tribunale di Velletri ha disapplicato la norma sull’obbligo vaccinale per il personale sanitario, ritenendola illegittima per violazione di norme costituzionali e internazionali. Il giudice ha motivato la sua decisione sottolineando, tra le altre cose, che le schede tecniche dei vaccini non menzionavano determinate categorie di soggetti (i guariti) come destinatari, evidenziando come l’RCP sia il documento di riferimento primario per la legittimità del trattamento. Questo approccio, se applicato per analogia, rafforza l’idea che la somministrazione a categorie non previste o per le quali mancano dati, come le donne in gravidanza, sia una pratica illecita.

L’Emergenza Non Giustifica l’Abbandono della Prudenza

La giurisprudenza riconosce al legislatore una discrezionalità nelle scelte sanitarie, purché basate sulle migliori conoscenze scientifiche disponibili in un dato momento storico e nel rispetto dei principi di ragionevolezza e proporzionalità. Tuttavia, un conto è scegliere tra diverse opzioni scientifiche, un altro è procedere in una dichiarata assenza di dati. La promozione attiva della vaccinazione a donne incinte non è stata una scelta tra diverse evidenze, ma una scommessa fatta sulla salute di madri e nascituri, in assenza del presupposto fondamentale: la prova della sicurezza.

La Corte Costituzionale, in un caso riguardante la vaccinazione raccomandata contro l’HPV, ha stabilito un principio di enorme importanza: quando lo Stato promuove una campagna vaccinale a tutela della salute collettiva, ingenera un legittimo affidamento nei cittadini. Se un individuo subisce un danno a seguito di tale raccomandazione, il principio di solidarietà (art. 2 Cost.) impone alla collettività di farsene carico attraverso un indennizzo. Questo principio evidenzia la profonda responsabilità dello Stato quando incentiva un comportamento sanitario. Nel caso della vaccinazione COVID-19 alle donne in gravidanza, questa responsabilità è aggravata dal fatto che la raccomandazione è stata portata avanti nonostante l’ammissione formale di “informazioni mancanti”.

Conclusioni: La Fiducia Tradita

La vicenda della campagna vaccinale per le donne in gravidanza e allattamento rappresenta un capitolo oscuro della gestione pandemica. Ha messo in luce una frattura pericolosa tra la documentazione scientifica e legale (l’RCP), che dovrebbe essere la bussola di ogni atto medico e le politiche di sanità pubblica. Se l’emergenza può richiedere decisioni coraggiose, non può mai giustificare l’abbandono del principio di precauzione, specialmente quando si tratta di categorie di pazienti così vulnerabili, stessa cosa si applica ai soggetti fragili, altra categoria di cui non si avevano i dati, essendo il farmaco covid-19 testato solo su soggetti adulti e sani, così è riportato nell’RCP.

L’aver promosso come sicura una vaccinazione per la quale non esistevano dati di sicurezza consolidati non solo ha esposto le pazienti a un rischio non quantificabile, ma ha anche inferto una profonda ferita al rapporto di fiducia tra i cittadini e il sistema sanitario, un patrimonio che, una volta eroso, è difficile da ricostruire.

Francesco Paolo Cinquemani

*avvocato

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