Quando difendersi è un rischio, ma camminare sui tacchi fa danni: Tribunali e i loro paradossi

Quando difendersi è un rischio, ma camminare sui tacchi fa danni: Tribunali e i loro paradossi

In Italia la giustizia continua a produrre contrasti che lasciano i cittadini perplessi. Da un lato, chi subisce l’intrusione di un ladro nella propria abitazione vive un incubo fatto di paura, ansia e rischio concreto per la vita della famiglia. Dall’altro, chi sopporta per anni il rumore dei tacchi della vicina ottiene un risarcimento da diecimila euro. Due vicende diverse, entrambe legittime sul piano giuridico, ma che se accostate trasmettono un messaggio distorto: la serenità domestica sembra tutelata più della sicurezza personale.

La violazione del domicilio: difendersi è un rischio

Quando un ladro entra in casa, non si limita a violare la proprietà privata: infrange la barriera più intima, quella della sicurezza familiare. Non si sa se sia armato, se sia pronto a colpire, se possa mettere in pericolo la vita dei presenti, in quell’istante, il padrone di casa vive un trauma che si traduce in paura e stress.

La reazione istintiva è difendersi. Ma la legge impone paletti rigidi: la difesa deve essere proporzionata, necessaria e attuale.

In pratica, chi si difende deve valutare in pochi secondi se la sua risposta sarà giudicata “adeguata” da un tribunale. Un colpo di troppo, un gesto percepito come eccessivo, e la vittima rischia di trasformarsi in imputato, con la prospettiva di una denuncia o addirittura di una richiesta di risarcimento da parte del ladro stesso.

Il paradosso è evidente: chi subisce la violazione più grave – l’intrusione nella propria casa – deve muoversi con cautela, quasi temendo più la giustizia che il criminale.

Il rumore dei tacchi: la quiete tutelata

La vicenda di Sesto Fiorentino, dove una donna è stata condannata a risarcire la vicina con 10.000 euro per i rumori molesti, ha mostrato come la giustizia sappia tutelare la qualità della vita. Il giudice ha riconosciuto che il rumore persistente e intollerabile può ledere diritti fondamentali: il riposo, la salute psicofisica, la serenità della vita familiare.

Non si tratta di criticare questa decisione, né di sminuire il valore della quiete domestica. Al contrario, è giusto che chi subisce un danno reale e documentato venga risarcito. Ma il confronto con la legittima difesa mette in luce una sproporzione percepita: la tutela della tranquillità condominiale appare più immediata e concreta di quella della sicurezza personale.

Il messaggio che passa

Il problema non è nelle singole sentenze, ma nel messaggio che arriva ai cittadini. Sembra dire: se il vicino fa rumore, trascinalo in tribunale e otterrai un risarcimento; se invece un ladro entra in casa violando la tua serenità e la tua proprietà, rischi che sia lui a portarti davanti al giudice se, difendendo te stesso o la tua famiglia, eccedi con la reazione.

Questa percezione alimenta sfiducia e senso di ingiustizia. Non basta che i giudici applichino correttamente le norme: serve una comunicazione più chiara e un riequilibrio che restituisca centralità alla tutela della vita e della sicurezza, beni primari che non possono apparire meno importanti della quiete condominiale.

Conclusione

La giustizia italiana non è a “due velocità”, ma appare tale agli occhi dei cittadini. Difendere la propria casa e la propria famiglia dovrebbe essere un diritto pieno, non come un rischio di incriminazione. Allo stesso tempo, la tutela della quiete domestica è sacrosanta, ma non può oscurare la gravità di una violazione del domicilio.

Se oggi la bilancia della giustizia sembra pesare più i tacchi che un ladro, allora il sistema deve interrogarsi. Perché la fiducia dei cittadini si conquista solo quando la legge protegge davvero ciò che è più prezioso: la vita, la sicurezza e la dignità di chi la subisce.

Francesco Paolo Cinquemani

*avvocato

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