Chi guida in Italia conosce la verità che i comunicati non dicono: paghiamo miliardi per “sicurezza stradale”, ma viaggiamo su asfalti devastati, tra buche, segnaletica consumata e cantieri fantasma. Il paradosso è lampante. Il gettito da auto — IVA, IPT, bollo, superbollo, accise, pedaggi, multe — supera ogni anno decine di miliardi, eppure l’infrastruttura quotidiana resta fragile, inadeguata, spesso pericolosa.
Non è solo un problema di decoro: è una crisi di gestione pubblica, bilanci e priorità.
Vediamo nello specifico il conto che paghiamo:
- Carico fiscale sull’auto: IVA sull’acquisto al 22%, IPT con maggiorazioni, bollo annuale variabile per potenza e classe ambientale, superbollo oltre i 185 kW, accise e IVA sui carburanti, pedaggi autostradali, sanzioni. Queste entrate dovrebbero finanziare manutenzione e sicurezza reale, non solo sulla carta.
- La promessa tradita: mentre il Piano Nazionale Sicurezza Stradale 2030 elenca obiettivi e il Codice della Strada irrigidisce le sanzioni, il cittadino continua a impattare buche e asfalti drenanti inesistenti. Il risultato non è un sistema “tollerante all’errore”, ma un sistema che moltiplica i rischi.
- Chi paga di più soffre di più: motociclisti e conducenti di ciclomotori restano gli utenti più esposti; tra cadute e ostacoli imprevisti, cercano giustizia in un quadro probatorio che spesso li abbandona. Qui, la distanza tra tutela teorica e tutela effettiva è la misura del fallimento.
Dove finiscono i soldi: tra annunci, frammentazione e rifinanziamenti insufficienti
- Stanziamenti e realtà dei cantieri: annunci di miliardi per nuove opere e riparazioni si scontrano con pochi cantieri e pure lenti, competenze frammentate tra Regioni, Province e Comuni, e una burocrazia che dilata tempi e disperde responsabilità. Gli effetti sulla sicurezza quotidiana sono sotto gli occhi di tutti.
- Finanziamenti ai piccoli comuni: esistono fondi dedicati alla messa in sicurezza di tratti comunali, ponti e viadotti; il fondo per le strade dei piccoli Comuni è stato rifinanziato di 10 milioni per il 2026, con procedure di erogazione in due tranche e graduatorie che scorrono per coprire il fabbisogno crescente. Sono risorse utili, ma lontane dalla scala del problema su base nazionale.
- Come i Comuni potrebbero finanziare davvero la sicurezza: tra Vision Zero, PNSS 2030, programmi europei e uso strategico dei proventi delle multe, esiste un percorso concreto per costruire interventi cantierabili. Il nodo, però, è la capacità progettuale e l’allineamento dei bilanci alla riduzione reale del rischio, non alla mera enunciazione di principi.
Un tema che però approfondirò nel prossimo articolo ma che merita un accenno qui, sono gli Autovelox, limiti e “sicurezza” come cassa: regole nuove, vecchi vizi
- Il quadro normativo sui limiti: in città il limite generale è 50 km/h, elevabile a 70 km/h solo su strade idonee; le “zone 30” sono però diffuse. Questa è una pratica che però, alimenta l’idea di una fiscalità occulta che colpisce senza ridurre il rischio dove la manutenzione latita.
- Il decreto Autovelox (in vigore dal 12 giugno 2025): introduce criteri stringenti per installazione e mappatura, obbligo di autorizzazione prefettizia e limiti di collocazione per evitare dispositivi “acchiappa-multe”. È una correzione necessaria, perché i dispositivi devono tornare a prevenire incidenti, non a generare gettito.
- Limiti abbassati e incidenti aumentati? La moda da qualche tempo è stata di ridurre in alcuni tratti cittadini richiesta di casi la velocità da 50km/h a 35 km/h, mostrandosi però nella pratica che tale intuizione a condotta ad una incidentalità in aumento che meriterebbe chiarezza e risposte dagli addetti ai lavori, dato che emergono evidenze documentate e verificate su “limiti a 35 km/h” in Italia con incremento di sinistri del 13% ma, soprattutto un aumento significativo di inquinamento.
La retorica della “sicurezza” come specchietto per le allodole
- Quando la sicurezza diventa slogan: imporre limiti o moltiplicare autovelox non sostituisce l’asfalto rifatto, il drenaggio corretto, il guardrail salva-motociclisti, l’illuminazione e la segnaletica leggibile. Senza un vincolo reale di spesa, trasparenza su piani e tempi, e responsabilità operativa, “sicurezza” resta parola vuota.
Domande a cui la Pubblica Amministrazione dovrebbe rispondere:
- Quanta parte dei proventi da multe, pedaggi e accise viene tracciata e trasformata in manutenzione immediata? Servono bilanci analitici e report pubblici trimestrali, non slide.
- Perché tratti ad “alta incidentalità” restano tali per mesi o anni? La mappatura e l’autorizzazione prefettizia degli autovelox hanno senso solo se collegati a interventi infrastrutturali prioritari e misurabili.
- Perché i piccoli comuni ricevono briciole mentre le reti provinciali e regionali si deteriorano? Rifinanziamenti da 10 milioni nel 2026 sono utili ma non sufficienti su scala nazionale; la sicurezza non può dipendere dalla fortuna di un bando.
- Dove sono gli effetti del PNSS 2030 nei cronoprogrammi locali? Senza capacità progettuale e governance integrata, gli obiettivi restano retorica.
Conclusione
La sicurezza stradale non è diminuire la velocità oppure, aumentare gli autovelox, è asfalto rifatto prima che si apra la buca, è drenaggio e segnaletica, è progettazione che protegge l’errore umano, è trasparenza su come si spendono i soldi che i cittadini versano ogni singolo giorno.
Finché la Pubblica Amministrazione preferirà “fare cassa” e annunciare piani invece di aprire e chiudere cantieri, continueremo a contare vittime su strade che tradiscono la promessa delle tasse. La denuncia non basta: servono bilanci vincolati, responsabilità e tempi certi.
La sicurezza, per una volta, deve smettere di essere uno slogan e diventare un lavoro fatto, misurabile, visibile.
Francesco Paolo Cinquemani
*avvocato
